Dal dopoguerra, nessuno ricorda esperienze simili a quelle che in questi giorni il coronavirus ci sta costringendo a vivere.
Rintanati nelle nostre case, soli davanti alla tv che continua a dirci che siamo lontani dalla fine di tutto questo.
Eppure non avremmo dovuto soffrire così tanto.
A sentire i sociologi, noi occidentali siamo gente ormai assuefatta all’elettronica, schiavi di una tecnologia che ci porta a voler vedere il mondo soltanto se questo è su uno schermo.
A sentire gli psicologi, non desideriamo più avere rapporti umani. La tecnologia ci ha portato in un vortice irresistibile che ci fa vivere tutti connessi, ma tutti drammaticamente soli.
A sentire i professori, non avremmo dovuto soffrire così tanto.
Avremmo dovuto a malapena accorgerci del fatto che tutto il nostro mondo è fermo. Eppure stiamo soffrendo.
Lontano dagli amici, lontano dall’amore e lontano dal chiasso dal quale ci credevano ormai dissociati, ci siamo ritrovati soli. E gli smartphone ancora non hanno imparato ad asciugare le nostre lacrime.
È incredibile come un virus ci abbia fatto riscoprire chi siamo.
Al di là dei profili, sotto i filtri e dietro le nostre frasi di autocelebrazione ci siamo noi, scimmie nude.
Animali sociali che farebbero di tutto per stare assieme agli altri, compreso fregarsene dei decreti del Presidente del Consiglio, con buona pace di psicologi, sociologi e chi più ne ha più ne metta.
Vero, il digitale è onnipresente nelle nostre vite, ma alla fine della fiera, quando il gioco si fa duro, la musica resta la stessa: vogliamo stare tra gli altri, desiderando ogni secondo della nostra vita un loro sguardo di approvazione.
La riflessione che questa constatazione ha stimolato in me è che nonostante il pensiero comune sembri dire il contrario, viviamo ancora in un mondo straordinariamente fisico.
Chiusi in casa, ci stiamo accorgendo della qualità effettiva degli spazi in cui viviamo, cominciando a comprendere quanto valga davvero pensare e progettare lo spazio in base al proprio modo di vivere.
Non in base alle mode, non in base a ciò che vediamo sulle foto di Instagram, ma in base a come noi vorremmo vivere le nostre giornate.
È per questo che l’ambiente dove vivi non può restare anonimo e malprogettato, ma deve esprimerti.
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